Rileggiamo la storia del territorio alpino e del suo utilizzo

Attorno al tema vi sono poche analisi. Troviamo spesso le posizioni che ribadiscono l’împortanza dei “rustici” nell’ottica di una necessaria protezione delle testimonianze della cultura contadina , ma non abbiamo visto finora alcun  tentativo di lettura ed inquadramento di questa “specificità” del territorio ticinese in una ottica che ne possa rivalorizzare  la presenza oggi e per il futuro, sia culturalmente che economicamente, a favore della collettività. Spesso abbiamo molta ideologia e poche idee concrete.

Quale esempio di lettura tradizionale , vogliamo confrontarci con l’interpretazione che ne dà Cleto Ferrari, presidente dell’Unione contadini, in un intervento che egli ha fatto all’inizio del mese di novembre sul sito www.vallediblenio.ch. Riportiamo il testo integrale, che commenteremo nel prossimo post.

Per chi ha le radici nelle zone rurali parlare di rustici è un po’ come toccare le corde delle proprie origini. Per chi resta delle generazioni che hanno vissuto l’utilizzo agricolo, queste strutture sono piene di ricordi di una vita diversa, rappresentano tempi difficili ma anche valori morali e familiari; testimonianza e scontro con un mondo scomparso. Per le generazioni seguenti si offrono letture diverse. In una lettura positiva non possiamo che esprimere ammirazione per i valori e i sacrifici di nostri avi; Un esempio di convivenza e di gestione della natura unico, i nostri indiani d’America.
Cosa ne è stato fatto dei rustici è un’altra storia. In una società che in poco tempo ha conosciuto tanti cambiamenti ed è stata travolta da tanto benessere, poteva succedere. Ed è successo! Ne abbiamo fatto un’arlecchinata! Con un’unitarietà paesaggistica sorprendente dovuta all’utilizzo di materiali del posto, pietra e legna, bastava una sola eccezione, un diverso, per fare la frittata, il classico pugno nell’occhio. Le eccezioni sono state parecchie. Eh si, tanto belli, tanto delicati dal lato paesaggistico.
Questa eredità ce la trasciniamo da tempo e oggi siamo anche consapevoli del disastro consumato, grazie anche ad esempi molto positivi. Esempi che ci mostrano la differenza, come la Val Bavona, la Val Malvaglia e alcuni piccoli nuclei recuperati integralmente.
Questa lettura non è e non può essere quella dei nostri politici, in quanto tanti non fanno più parte di questa realtà e non hanno i mezzi per poterla sentire e forse sono ostaggi di un sistema economico e amministrativo imbarazzante. Questa lettura non può essere quella di Berna già solo per il fatto che si erge a mo di giudice supremo della situazione, anche per non essere stati capaci in passato a lavarci i panni sporchi in casa e abbiamo lasciato sbraitare troppo spesso l’espressione “malvezzo cantonticinese”..
In questo contesto l’ente pubblico ha finito col adottare strumenti legali che dirottano mezzi finanziari importanti per creare la figura del controllore dell’altro controllore, per fare allestire varianti di Piano Regolatore volte a definire logiche e naturali modalità di gestione, semplificabili in un paio di norme d’attuazione. Per fornire ulteriori garanzie a Berna e lasciare cambiare destinazione ai rustici si finirà anche col richiedere aperture che nemmeno la protezione animali tollera. All’esterno sarà ben difficile realizzare ancora un muretto a secco senza incappare in un qualche abuso edilizio. Il paradosso è che si vuole cambiare destinazione all’oggetto e nel contempo tramandarlo a livelli di museo.
È poco mirato allestire regole su regole per ricostruire un paesaggio che apparteneva all’artigianato passato. Sarebbe più efficace e logico promuovere il recupero di quel tipo di artigianato attraverso finanziamenti per tetti in piode e altri aspetti architettonici e paesaggistici rurali. Affidare un margine di manovra semplice e mirato a chi vuole recuperare un rustico anche per fare un’attività gestionale all’aperto, per contenere il bosco che intanto sta divorando tutto. Stiamo costruendo l’ennesimo, non a buon mercato, apparato amministrativo burocratico che al posto di incentivare un sano artigianato finisce col opprimerlo.
Non uccidiamo e non rendiamo elitarie quelle capacità artigianali presenti in ognuno di noi che, se accompagnate e aiutate da mani esperti, fanno bene alla salute di tutti. Un po’ ovunque nel Cantone stiamo riscoprendo la coltura dell’orto, facciamo rivivere anche la cultura semplice dei rustici.

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